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di Marco Riccòmini

Fiamme a Parigi

Per gentile concessione dell'Editore pubblichiamo l'articolo di Marco Riccomini apparso su Repubblica Bologna mercoledì 17 aprile

«È la nostra storia, la nostra letteratura, la nostra immaginazione, il luogo dove abbiamo vissuto i nostri momenti più grandi», in una parola «il nostro destino profondo», dice un emozionato Presidente francese alle telecamere. Ma a piangere è il mondo intero, in una sorta di veglia funebre sui propri greatest moments a Nôtre-Dame. I ricordi che ciascuno di noi porta con sé, legati a un viaggio a Parigi, che d’un tratto diventano dolore davanti allo sgomento di ciò che non sarà mai più. Ma Bologna ha un motivo in più di apprensione, anzi due.

Mi riferisco ai tesori bolognesi che la Cattedrale di Parigi custodisce: il San Bernardino da Siena salva la Città di Carpi, forse l’ultima opera dipinta da Ludovico Carracci (reca la data del 1619, l’anno della morte), spogliata dai francesi dalla Galleria Granducale di Modena nel 1796 e mai restituita ma, soprattutto, il Trionfo di Giobbe, tra le opere più celebri di Guido Reni. Enorme (oltre 4 metri d’altezza, per 11 quadrati), commessa dall’Arte della Seta nel 1601, ricordata per la sua «delicatissima fattura» dal Malvasia nelle sue Pitture di Bologna (1686), era nata per la chiesa di Santa Maria della Pietà dei Mendicanti a Bologna, in via San Vitale. Poi, sul finire del Settecento, arrivarono anche lì i francesi, che avevano un certo gusto, va loro riconosciuto e, infatti, la scelsero tra le opere destinate al Louvre. Era il 1797, e nel viaggio verso Parigi la pala patì le pene dell’inferno: la neve al Monginevro, il fango dell’inverno, e poi il caracollare incerto d’una chiatta fino alla Senna, non certo un balsamo per un dipinto di quelle dimensioni. Passata quindi la foga di conquista – con l’Imperatore a Sant’Elena - la pala di Reni, un tempo tra le opere più studiate a Bologna (la lista degli artisti che la copiarono è lunghissima, da Gaetano Gandolfi a Jean-Honoré Fragonard) finì casualmente in deposito a Nôtre-Dame, dimenticata da tutti.

Da Bologna ci scordammo di chiederla indietro (ma non c’erano gli elenchi dei beni trafugati?) e i francesi di averla, e fu riscoperta per caso dall’inglese Denis Mahon, un giorno che girava col naso all’insù per la chiesa. Andrea Emiliani la fece restaurare da Otorino Nonfarmale e nel 1988 la volle in mostra a Bologna; e quella fu l’ultima volta che tornò a casa ‘in licenza’. Si parla in queste ore di opere salvate, dal calore del fuoco e dalla furia delle acque per spegnerlo. Non resta che attendere notizie più dettagliate e sperare che le tele di Ludovico e di Guido abbiano passato anche questa nottata.