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di Marco Riccòmini

EUGENIO

Chi lo ha conosciuto, lo distingueva come uomo di gusto, e così penso che gli sarebbe piaciuto essere ricordato.

All’alba lo schermo del telefono s’illumina con un messaggio. Con gli occhi ancora socchiusi, leggo e poi deglutisco. Sono le condoglianze per mio padre. È così, mi domando, che mi sarei immaginato questo giorno? Mentre più tardi giro la moka, mi sale un groppo in gola, e rileggo, stavolta tutto il testo. In che senso, l’amico di Bologna che mi scrive, gli avrebbe ‘allungato la vita’? E capisco. Si era sbagliato, correggendosi in ritardo; non era il mio, l’Eugenio per il quale dolersi. Ma Eugenio Busmanti, che se ne è andato, in fretta, l’altro ieri a Bologna, dopo una breve malattia. Chi ha avuto la fortuna di ricevere un suo invito in via Marsala, ricorderà il fascino della sua casa all’antica (per parafrasare il suo testo che accompagnava le foto di Massimo Listri, in un volume pubblicato da Allemandi) che, se non avesse arredato lui stesso, si sarebbe detto ferma nel tempo, di un tempo sognato di (almeno) un secolo fa. E poi il catalogo su Jacopo Alessandro Calvi detto il Sordino, e le schede nella mostra sul Settecento in Emilia, e altro ancora, scritto sempre con la distaccata nonchalance del dilettante, nell’accezione settecentesca del termine. Chi lo ha conosciuto, lo distingueva come uomo di gusto, e così penso che gli sarebbe piaciuto essere ricordato.