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di Marco Riccòmini

helmbart

Viaggio con alabarde. Da Varallo a Firenze passando per Milano.

Il nome viene da helmbart, che significava ascia da guerra. La usavano i lanzi (come da noi sono conosciuti i lanzichenecchi) che, al principio del Cinquecento, misero a ferro e fuoco l'Italia. Se ne vedono nelle mani di qualche balordo ai piedi delle croci al Sacro Monte di Varallo nella versione di Gaudenzio (ma dovreste zigzagare anche tra Novara e Vercelli, con l’occhio sugli orari d’apertura, senza poter fare confronti ravvicinati; il paragone longhiano, dissolto nel furor d’inclite geste). Furore che mancava all’AMART, «nucleo pulsante per riscoprire il valore e la bellezza dell’arte in tutte le sue espressioni», dove a divertirsi pare siano stati solo i creativi (dall’acronimo erotico al sottotitolo: «Arte è Milano»), che accoglieva i visitatori con panoplia di partigiana e brandistocco (ossia altre alabarde), quasi a difendere il territorio a nord del Po. Ma i Lanzi arrivarono fino a Roma, che misero a sacco nel 1527, ed erano così bravi (il termine stava per soldato di ventura) che li volle con sé pure Cosimo I, così che la loggia in piazza della Signoria porta ancora il loro nome. Svignandosela dal dorato esilio californiano, uno di questi è tornato a casa (L'Alabardiere di ritorno a Firenze. Incontri miracolosi: Pontormo dal disegno alla pittura), occasione per vederlo accanto al disegno che lo anticipa. Resta da capire, però, dove sia il miracolo. Quei 32,5 milioni di dollari che nel 1989 segnarono il record per un'opera d'arte antica? Briciole, che fanno sorridere al cospetto dei risultati odierni della vendita di Peggy and David Rockefeller.