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di Marco Riccòmini

SALON d’HIVER

Finalmente si può indulgere ad un gusto educatamente neobarocco mischiando generi ed epoche diverse, perché - sulla carta - sono la stessa cosa.

«Questa neve - adesso riderete di me [ma ridereste di Proust: «cette neige, vous allez rire de moi, ça me fait penser à de l'hermine»] - mi fa pensare a una pelliccia d'ermellino», distesa sui campi attorno a Parigi che vedo dal finestrino del mio aereo, in questi giorni di metà marzo. Eppure una lunga coda in Avenue Matignon sfida il freddo glaciale per ritrovarsi a tu per tu con quella impudica e secca fanciulla in fiore, dallo sguardo altrettanto glaciale (Fillette à la corbeille fleurie), dipinta da Picasso nel suo periodo rosa (1905), highlight della collezione di Peggy e David Rockefeller, che in asta – auspicano – potrebbe superare i cento milioni di dollari (ma bisognerà aspettare l’incanto a New York, nella tarda primavera). Intanto, i fogli antichi e ottocenteschi che la circondano, hanno già oltrepassato l’asticella dei due milioni di Euro (2,339,875), poco di più di quanto totalizzato il giorno dopo nella vendita della collezione di Christian e Isabelle Adrien, battuta di fronte all’Eliseo (1,895,500). Voglia di tornare a sorridere, dopo Maastricht, anche nella Drawing Room di Palais Brongniart (da non intendere però nel significato delle francesi Levées, quando gli ex regnanti sono ora ai domiciliari), perché la quiete arriva dopo la tempesta quando, finalmente, si può indulgere ad un gusto educatamente neobarocco e, perché no, anche lievemente à rebours, senza essere obbligati a scegliere tra antico e moderno (ecco, dunque, il successo dei Works on Paper), mischiando generi ed epoche diverse, perché - sulla carta - sono la stessa cosa. L’inverno, a Parigi, è alle spalle.