giornalearte

L’orgoglio di essere

I nostri affanni

Alcune vicende recenti pongono in primo piano una domanda assillante per il futuro dell’antiquariato. Cominciamo intanto dalla discussa applicazione degli studi di settore che, nella versione più letterale di studio sui magazzini delle ditte di antiquariato, crea scompensi a dir poco devastanti per la incongruità tra una attività ritenuta mercantile-produttiva-industriale, quale quella di altre categorie merceologiche, e quella invece di ditte antiquariali, mercantili si, ma certamente come più e più volte si è detto, anche in altre sedi, assolutamente sui generis. Questa specificità risiede ovviamente nella tipologia della “merce” trattata e nell’equivoco che ormai immemorabilmente pone l’oggetto d’arte in una sorta di limbo, in cui questo bene diviene Bene Culturale quando si deve ammantare di una aureola di indispensabile e inamovibile collocazione con onerosi obblighi di conservazione, mentre diviene merce da gravare di orpelli e tasse varie quando, appunto, come accade nel caso degli studi di settore, non si tiene conto del movimento assolutamente particolare dei magazzini, in cui oggetti di qualità e di valori difformi giacciono per anni se non per decenni. Convegni di tutti i generi ormai promossi in ogni parte del mondo non sono riusciti a risolvere globalmente, se non in modo sempre e solo restrittivo, il dilemma dell’oggetto d’arte nel mercato dell’antiquariato come bene culturale o come merce. Da questa indistricabile ambivalenza scaturisce poi, e forse ne è causa, la scarsa considerazione che nella società gode la professione dell’antiquario. L’AAI da molti lustri svolge una incessante attività sia presso i propri associati che verso le Istituzioni, i collezionisti, i colleghi italiani e stranieri per evidenziare la professionalità, la preparazione culturale, la passione di operatori che mantengono vivo un mercato il quale, grazie a loro, allarga il valore di questa attività ad altre categorie gravitanti intorno ad essa. Un’indagine di alcuni anni fa da noi promossa, provò che ogni addetto ad una attività antiquariale favorisce statisticamente il lavoro di centinaia di persone (restauratori, editori, librai, fotografi, trasportatori, imballatori ecc.) ma allora che cosa determina questa mancanza di considerazione? Eppure i rapporti con gli operatori istituzionali sono improntati a grande rispetto: la considerazione di cui in generale godono i membri dell’AAI è individualmente buona, ma poi quando il problema diviene inevitabilmente di categoria allora le proposte, i suggerimenti, le più modeste osservazioni cadono nel vuoto, sono quasi compatite! E francamente qualche volta tutto ciò è davvero sconfortante. E non ci si accusi di vittimismo, perché non è vittimismo lamentarsi di episodi accaduti recentemente a Firenze e che citiamo: per esempio una recente pregevole mostra su Bronzino, che propone con eccellente valenza scientifica l’opera di questo magistrale artista del Cinquecento, inaugurata da poco in pompa magna e con dovizia di mezzi ad opera della Fondazione di Palazzo Strozzi, ha completamente trascurato persino l’invito alle Associazioni di antiquariato nazionali o locali. Vale la pena di ricordare che per molti decenni Palazzo Strozzi si è identificato come la sede della Biennale dell’Antiquariato e che questa attività ha permesso al Palazzo di mantenere una fama che, con l’Istituto del Rinascimento ed il Gabinetto Vieusseux, anch’essi collocati nel palazzo, ha proiettato il suo nome nell’empireo dei luoghi culturali di eccellenza. Ma forse si vuole cancellare in una sorta di damnatio memoriae tutto ciò che ricorda attività commerciali: ma non è così, dal momento che anche inseguire record di affluenze di visitatori costituisce il perseguimento di redditività che, peraltro tutti ci auspichiamo per continuare a svolgere attività culturali sempre più costose.
Vogliamo credere che ciò sia accaduto solo per disorganizzazione o sciatteria, ma comunque rimane il fatto della scarsa considerazione. Ma ancora più significativo di un comportamento, a dir poco sconcertante, nei confronti dell’antiquariato, è quanto sta accadendo nel corso della edizione di Florens 2010, che si svolgerà a Firenze dal 12 al 20 novembre culminando con un Forum Internazionale dei Beni Culturali e Ambientali dal 18 al 20. Proprio per questa circostanza, aderendo a cortese e lungimirante invito nell’ambito del comitato della Biennale dell’Antiquariato di Firenze, l’AAI ha concertato, nelle sale del pianterreno di Palazzo Corsini, una partecipazione collettiva coordinata, nell’allestimento, dalla sapiente ideazione di Pier Luigi Pizzi. Partecipazione onerosa per gli antiquari che tuttavia hanno aderito ritenendola un dovere nei confronti della Città della Biennale, ma anche un diritto per tutto ciò che l’antiquariato ha rappresentato e rappresenta nello sviluppo dei beni culturali, per essere il primo ingranaggio di un processo virtuoso che valorizza l’oggetto d’arte dalla sua apparizione sul mercato fino alla probabile museificazione pubblica o privata. Ebbene nel comunicato stampa di presentazione non c’è traccia di questa iniziativa che certamente “merita meno di alcune letture in molte librerie fiorentine” (peraltro degnissime di citazione). E’ in sostanza l’unica manifestazione (con almeno 70 oggetti di altissimo antiquariato presentata per l’occorrenza da un genio mondiale della scenografia) di questo ‘festival’ a non avere un minimo di risonanza. E qui si ritorna ai dubbi dell’inizio di questa nota. Eppure il Presidente di Florens 2010 è persona di grande cultura non alieno dal collezionismo, e allora, perché questo atteggiamento? 

11.2010