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Ma quante saranno le opere notificate?

I nostri affanni

Continuando nella nostra indagine per conoscere le opinioni sulla nostra proposta di pubblicare le opere sottoposte a “notifica”, abbiamo chiesto un parere anche al Professor Fabrizio Lemme, docente di Diritto penale dell’economia all’Università di Siena. Gli abbiamo richiesto la seguente richiesta:
Caro Professore, riguardo a quanto ti ho detto telefonicamente, ti mando i due articoli usciti sul Giornale dell'Arte nei mesi di febbraio e marzo. Ti ringrazio dell'accoglienza che hai fatto all'idea che è dietro a queste pubblicazioni. Mi sembra che anche se sarà tanto difficile ottenere qualche cosa, valga comunque la pena di provarci. Sono certo che saprai inquadrare la situazione in modo magistrale perché se l'idea avrà una conseguenza pratica potremmo davvero mostrare uno spaccato dei comportamenti che in tutti questi anni sono stati alla base di provvedimenti amministrativi (notifiche) molto spesso arbitrari.
Questa la risposta del Professor Lemme:
Caro Direttore, mi chiedi la mia opinione in ordine alla possibilità di pubblicare un catalogo generale di tutte le opere d’arte che abbiano formato oggetto di dichiarazione di interesse particolarmente importante o di “notifica”, come si diceva un tempo, prima del testo unico varato da Giovanna Melandri.
Sarei pienamente ma non incondizionatamente favorevole e ne spiego le ragioni.
Innanzitutto, occorrerebbe una volontà politica e questa presuppone, come vedremo avanti, soprattutto nelle scelte, una esatta conoscenza dei problemi legati alla tutela del patrimonio culturale: temo che questa “esatta conoscenza” difficilmente possa riscontrarsi nei vari personaggi che, di volta in volta, sono delegati alla gestione del patrimonio culturale italiano.
Inoltre, la pubblicazione presuppone anche il superamento di taluni limiti posti a tutela della privacy, cosa certamente non agevole.
Ancora, la pubblicazione presuppone una scelta temporale: il 1913, data nella quale, con l’emanazione del regolamento di applicazione della prima legge nazionale di tutela del patrimonio artistico (la 364 del 1909), la stessa trova applicazione concreta? Il 1939, data successiva alla emanazione della Legge Bottai, considerata un vero capolavoro legislativo per l’autorevolezza di chi la elaborò (nientemeno che Santi Romano e Giulio Carlo Argan!) e che rende più pregnante e qualificante la tutela? Il 1950, quando, conclusasi la parentesi bellica, si riaccende l’interesse alla tutela del nostro patrimonio culturale?
La pubblicazione presuppone altresì una scelta tematica: beni mobili e/o anche monumenti? arti c.d. “maggiori” o anche arti applicate?
La scelta temporale non è politica ma eminentemente culturale: se si risalisse al 1913, avremmo uno spaccato completo della nostra evoluzione, dal positivismo all’idealismo ed al marxismo e quindi la pubblicazione sarebbe un’immagine della nostra progressiva evoluzione. Sotto questo profilo la utilità della pubblicazione sarebbe molteplice, non limitata alla semplice ricognizione del nostro patrimonio artistico. Temo peraltro che l’impresa sarebbe assai ardua: i reperti fotografici cominciano ad essere pienamente leggibili solo in epoca relativamente recente e quindi l’informazione fornita da foto “anteguerra” sarebbe certamente scarsa.
La scelta tematica è ugualmente culturale: da quando, sulla rivista francese “Les Annales” comparve il pensiero di Marc Bloch e Lucien Febvre, volto ad affiancare alla cultura delle classi dominanti anche quella delle classi subalterne, alle arti del disegno (pittura, scultura, architettura) anche le arti decorative e quelle c.d. minori, il confine tra arte e non arte, tra bello ed utile, è andato sfocandosi, così imponendosi sulla vecchia terminologia “belle arti” quella, nuova e diversa, di “beni culturali”.
Con questi interrogativi, io confermo la piena condivisione del Tuo progetto e mi congratulo che gli antiquari siano così fecondi d’idee nella materia della tutela, sfatando in tal modo il luogo comune che essi siano solo “tesi alla moneta”, come il mercante di gozzaniana memoria.
Il repertorio fotografico, lo ripeto, sarebbe uno strumento straordinario non soltanto atto ad illustrare un patrimonio semi-sommerso ma anche a contribuire in maniera determinante a quella “percezione visiva dell’Italia e degli italiani” sulla quale ha indagato in modo straordinario il grande Federico Zeri.
Esso inoltre favorirebbe gli scambi, fornendo informazioni idonee ad evitare che qualcuno, in assoluta buona fede, acquisti un’opera “notificata” ignorando l’esistenza del vincolo e così esponendosi all’esercizio del diritto di prelazione da parte dello Stato .
Ti autorizzo a pubblicare questa lettera aperta, nelle forme che riterrai più opportune e Ti confermo la mia disponibilità ad ogni ulteriore collaborazione che fosse necessaria per realizzare un importante progetto.

Ringraziamo vivamente Fabrizio Lemme per il contributo così lucido e puntuale che ci impone una piccola precisazione. La pubblicazione presupporrebbe una scelta tematica: beni mobili perché riteniamo che i monumenti rientrino in diversa sfera di applicazione ed anche le arti cosi dette maggiori e naturalmente quelle applicate. In quanto alla scelta temporale ci farebbe molto piacere anche per le considerazioni rilevate dal Professor Lemme poter estendere la pubblicazione a tutte le opere notificate dal 1913 ma ci rendiamo conto dell’enorme difficoltà di una tale impresa e pertanto riteniamo che il periodo da prendere in esame potrebbe essere quello post bellico.
Tuttavia parafrasando il titolo di questo articolo ci viene l’uzzolo di sapere se qualcuno dell’amministrazione potrà dirci a quale numero assommano le opere notificate da ormai cento anni. Sarebbe già un passo avanti.

04.2010