cronache uffici esportazione

Avv. Giuseppe Calabi

Cronache dagli Uffici Esportazione

Perchè i CAS ed i CAI dovrebbero essere rilasciati per i beni ultra-settantennali sotto la soglia di valore e per i beni infra-settantennali ed ultra-cinquantennali

Il fine dichiarato della riforma del Codice dei beni culturali introdotta con l’approvazione della Legge Concorrenza (l. 4 agosto 2017, n. 124) è di “semplificare le procedure relative al controllo della circolazione internazionale delle cose antiche che interessano il mercato dell’antiquariato” (articolo 1, comma 175).

In realtà, i primi tre anni di attuazione della riforma hanno dimostrato che la semplificazione delle procedure relative alla circolazione internazionale dei beni di antiquariato (e non solo di quelli che interessano quel mercato, ma anche delle opere d’arte moderna e contemporanea e di tutte le cose che siano suscettibili di provvedimenti di tutela in base all’articolo 10 del Codice) non è avvenuta.

Al contrario. Le procedure di controllo sulla circolazione internazionale si sono ulteriormente appesantite con spreco di tempo, denaro ed energia per gli intermediari, i fornitori dei servizi di logistica, la pubblica amministrazione ed i collezionisti privati.

I tre pilastri della riforma sono stati: (a) l’introduzione della soglia di valore unica (euro 13.500) al di sotto della quale non è richiesto un attestato di libera circolazione per l’uscita definitiva dal territorio italiano; (b) l’estensione del regime dell’autocertificazione per l’uscita definitiva dei beni di valore documentato inferiore alla soglia ovvero realizzati da meno di 70 anni da artisti defunti e (c) la riforma delle procedure di certificazione all’ingresso nel territorio italiano dei beni di provenienza estera, prevista dall’articolo 72 del Codice, ma risalenti al R.D. 363/1913 (i cosiddetti CAS e CAI).

In questi tre anni e mezzo dall’approvazione della riforma, abbiamo assistito ad una forte resistenza da parte del Ministero ad accettare l’introduzione della soglia di valore, che è stata inserita nel Sistema Informativo degli Uffici Esportazione soltanto a partire dal 1° dicembre 2020, con grave ritardo rispetto all’entrata in vigore della Legge Concorrenza.

Inoltre, l’istituto dell’autocertificazione è stato interpretato in modo assai “creativo” dal Servizio IV della DG ABAP, il quale - in base al noto Atto di indirizzo del 24 maggio 2019 n. 13 – ritiene che l’autocertificazione “implicitamente” contenga un domanda di autorizzazione all’esportazione alla quale gli Uffici Esportazione, rilasciando (o negando) la copia vidimata della stessa all’interessato, esprimerebbe un “non dissenso” (sic !), in caso di rilascio, ovvero un “dissenso” in caso di diniego. So tratta di un’interpretazione sostanzialmente “abrogativa” della norma liberalizzatrice, in relazione alla quale pendono già numerose cause davanti ai TAR.

Ma vorrei richiamare l’attenzione sul terzo pilastro, ossia sulla certificazione all’ingresso nel territorio dello Stato.

Come è noto, la certificazione all’ingresso di una cosa di documentata provenienza estera attribuisce alla stessa interessata un regime di extraterritorialità: la cosa per 5 anni (rinnovabili ad libitum) non può essere oggetto di provvedimenti di tutela e può uscire con un attestato “a scarico”, che è un atto dovuto della pubblica amministrazione.

Il Ministero ha interpretato in modo letterale il richiamo dell’articolo 72 (che non è stato modificato dalla riforma) all’articolo 65, comma 3 del Codice: i CAS ed i CAI sono rilasciati soltanto per “le cose e i beni indicati nell’articolo 65, comma 3”.

L’articolo 65 del Codice è stato profondamente modificato dalla riforma, la quale ha innalzato da 50 a 70 anni la soglia temporale richiesta per l’autorizzazione all’esportazione ed ha introdotto la soglia di valore, prevedendo inoltre (nuovi commi 4 e 4-bis) che l’autorizzazione fosse sostituita da un’autocertificazione per le cose di età inferiore a 70 anni e per le cose di età superiore a 70 anni ma di valore documentato sotto la soglia.

Per un difetto di coordinamento tra articolo 72 ed articolo 65, gli Uffici Esportazione non rilasciano più CAS e CAI per i beni di documentata provenienza estera, ma di età tra 50 e 70 anni, ovvero per i beni – sempre di documentata provenienza estera – di età ultra-settantennale ma con un valore sotto la soglia.

Prima della riforma, i beni ultra 50 ed infra 70 e quelli ultra 70 e sotto la soglia di valore erano certificabili all’ingresso.

Dopo la riforma, gli stessi beni anziché beneficiare del regime di extraterritorialità che deriverebbe dal rilascio di un CAS o di un CAI, quando entrano nel territorio italiano, malgrado la loro documentata provenienza estera, sono interamente soggetti alle norme di tutela, rischiando di essere notificati e, quindi, di non potere più uscire dal territorio italiano.

Questa situazione scoraggia molti operatori dal fare entrare in Italia beni di provenienza estera di valore sotto la soglia anche soltanto per esporli a fiere e disincentiva i collezionisti italiani a spedire in Italia un’opera d’arte acquistata all’estero di età tra 50 e 70 anni ovvero di valore sotto la soglia.

Un paio di esempi.

Un’importante istituzione straniera ha chiesto in prestito per una mostra un’opera di un noto artista non più vivente munita di un CAI, rilasciato prima della riforma. Per uscire dal territorio italiano, l’opera richiederebbe un “attestato a scarico”, la cui emissione comporta il ritiro del CAI da parte dell’U.E. ed il venir meno del regime di extraterritorialità. Al termine della mostra, l’opera non potrà più rientrare in Italia con un CAI in quanto la sua età è inferiore a 70 anni. Per questo motivo, il collezionista non ha concesso il prestito e l’opera è rimasta in Italia.

Un antiquario italiano ha acquistato ad una fiera straniera un’opera per un valore di euro 10.000. Deciderà di non portarla in Italia per restaurarla, studiarla ed, eventualmente venderla ad un prezzo maggiore per evitare di correre il rischio che l’opera sia notificata, pur avendo tale opera una provenienza integralmente straniera.

Un corretto coordinamento tra articolo 72 ed articolo 65 del Codice, richiederebbe che tutti i beni di provenienza estera documentata (ad esclusione di quelli che siano precedentemente usciti dal territorio italiano in modo illecito) possano beneficiare di un CAS o di un CAI, soprattutto in ossequio al principio di semplificazione introdotto dalla riforma: se un bene si trova legittimamente all’estero ed entra in Italia, perchè mai non dovrebbe beneficiare del regime di extraterritorialità come era previsto prima della riforma ?

Il sospetto è che il Ministero aderendo ad una interpretazione formale (vorremmo dire: formalistica) del combinato disposto degli articoli 72 e 65 del Codice abbia inteso introdurre un correttivo alla cauta riforma liberalizzatrice del legislatore del 2017: in altre parole, l’innalzamento della soglia temporale e l’introduzione della soglia di valore sono stati controbilanciati con l’inasprimento del regime di controllo e di tutela relativo alle cose interessate dalle nuove soglie sottraendole al regime di extraterritorialità previsto prima della riforma.

Questo tema è stato portato all’attenzione del Ministro ed auspichiamo che un corretto coordinamento tra le norme del Codice sia attuato, sempre in ossequio al principio di semplificazione e di corretto controllo sulla circolazione internazionale.