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Antonio Pepe

Insta nuova rivista

La connoisseurship nell’era dei social

In molti conoscono le parole di Umberto Eco a riguardo degli aspetti negativi di internet, estrapolate da un discorso tenuto in occasione del conferimento della laurea honoris causa presso l’Università di Torino: “dà diritto di parola a legioni d’imbecilli, i quali prima parlavano solo al bar dopo due o tre bicchieri di rosso”. Vederla come Eco non è poi così difficile, sui social il parere di professionisti si emulsiona con quello di aspiranti tali. Per dirla in modo franco, professori emeriti ed emeriti imbecilli, tutti sullo stesso piano: una bolgia. Al lettore più attento, dopo un lavoro di selezione, non scapperà la differenza qualitativa dei contenuti, i pareri validi di attenzione e quelli dei furfanti travestiti di belle parole. A tutti gli altri auguro una buona fortuna. Ma, critiche a parte, non si può certo rinnegare l’enorme valore aggiunto dei social media alla storia dell’arte. Queste piattaforme fanno ormai parte dei nuovi strumenti di informazione anche per settori di nicchia come il nostro. Certo non sono indispensabili, neanche lontanamente, ma possono rivelarsi utili. Tanto che non stupirebbe trovare il contenuto di qualche post travisato in un articolo scientifico.


"Queste piattaforme fanno ormai parte dei nuovi strumenti di informazione anche per settori di nicchia come il nostro. Certo non sono indispensabili, neanche lontanamente, ma possono rivelarsi utili. Tanto che non stupirebbe trovare il contenuto di qualche post travisato in un articolo scientifico."


È sufficiente notare la caratura di alcune personalità attive in un prolifico scambio d’opinioni, pareri attributivi, consigli di ricerca. A proposito di attribuzioni, scrollando mi è capitato perfino di trovare più di un’opera anonima pubblicata da un’istituzione museale con il solo intento di capirne l’autore. Il testo sottostante recitava qualcosa del tipo “AAA cercasi autore” (parafraso la forma ma mantengo inalterato il senso), e via nei commenti con le ipotesi più disparate, alcune sensate, altre ve le lascio immaginare. Personalmente credo che perfino Federico Zeri, mai snob nella scelta dei mezzi mediatici, si sarebbe lanciato volentieri nel ring. Ne avremmo viste delle belle. Al contrario, un altro Federico – Federico II di Svevia - si ribellò all’uso della carta (tecnologia ancora in via di diffusione ai suoi tempi) per i documenti ufficiali, prima sempre su pergamena. Nessuna pressione luddista, un genuino timore per la più scarsa capacità di durare nel tempo (“quoniam incipiebat vetustae consumi”). Da questo punto di vista i social spaventano un po’ anche noi. Gli articoli su carta si conservano, i carteggi fra storici pure, ma per chi fa ricerca: come si rintraccia un post e qual è la sua durata?