fondazione zeri

di Ludovica Trezzani

La natura morta romana nelle foto di Federico Zeri

Non è certo facile ricostruire il pensiero di Federico Zeri sulla natura morta italiana, e in particolare su quella romana fra il 1630 e il 1670, dal momento che, con la folgorante eccezione dello studio sul Maestro di Hartford[1], comunque dedicato a fatti ben più antichi, egli non scrisse mai su questi argomenti. Tentai inutilmente di scoprirlo quando, in preparazione dei volumi Electa voluti e diretti dallo stesso Zeri, andai a trovarlo insieme a Giuliano Briganti e a Laura Laureati con cui dividevo la responsabilità del capitolo sulla scuola romana. Era, credo, l’inverno del 1987 e, pur non avendo mai scritto su quegli argomenti, dopo oltre un anno di studio ci sentivamo pronte, se non a offrire soluzioni, almeno a formulare domande e ipotesi non prive di senso. Zeri non ce ne diede neanche la possibilità: si disse anzi stupito del nostro proposito e proclamò che un libro sulla natura morta era assolutamente prematuro, quasi non ne fosse stato lui stesso il direttore scientifico. Interdette, non osammo replicare tanto più che, per provare il suo assunto, ci chiese cosa sapessimo delle nature morte di Andrea De Lione, mostrandocene le fotografie appena arrivate: niente, come era prevedibile. Tacemmo quindi mortificate ingoiando i quesiti che con tanto entusiasmo avevamo preparato, e passammo invece un pomeriggio straordinario ascoltando Zeri parlare di argomenti del tutto diversi e certo più emozionanti dei pittori di fiori e frutta che in quel momento ci stavano a cuore. I nostri saggi sulla natura morta romana e le biografie dei pittori pubblicati da Electa nel 1989 nacquero dunque da ricerche compiute in massima parte nella fototeca di Giuliano Briganti, che da poco si era arricchita del fondo di Antonio De Mata, particolarmente utile al nostro lavoro.

L’invito della Fondazione Federico Zeri è stato quindi la prima occasione di esplorare la sua fototeca leggendaria o, più esattamente, la sezione dedicata ai pittori romani: alla ricerca, ancor più che di materiali inediti su cui poter lavorare, di riflessioni e ipotesi di lavoro mai espresse compiutamente dal grande conoscitore. La composizione delle cartelle e la sequenza delle foto all’interno di ciascuna di esse, i rimandi e i riferimenti incrociati, o forse semplicemente i dubbi deducibili dalla presenza di copie delle stesse foto in fascicoli diversi, e ancor più le note autografe sul retro delle stampe lasciano appena intravedere pensieri che sarebbe difficile, per non dire azzardato, presumere di interpretare e datare con esattezza.


"La composizione delle cartelle e la sequenza delle foto all’interno di ciascuna di esse, i rimandi e i riferimenti incrociati, o forse semplicemente i dubbi deducibili dalla presenza di copie delle stesse foto in fascicoli diversi, e ancor più le note autografe sul retro delle stampe lasciano appena intravedere pensieri che sarebbe difficile, per non dire azzardato, presumere di interpretare e datare con esattezza."


Contigue nello stesso fascicolo, fotografie di dipinti di mani chiaramente diverse e talvolta distanti anche per epoca di esecuzione, ma legati tra loro per soggetti o soluzioni compositive, sembrano talvolta riunite per ricostruire, più che singole personalità, la genealogia di determinati motivi (cesti di frutta, tralci di vite, frutti di melograno) che attraversano l’intera storia del genere o buona parte di esso, dal Maestro della natura morta Acquavella fino ai suoi epigoni del primo Settecento: ricongiungendo ad esempio motivi tipici degli anni tra il 1610 e il 1630 al loro esito tardo per mano di Spadino e di Antonio Amorosi. In questa mappa ideale le fotografie dei dipinti di Michele Pace nel Museo dell’Ermitage trovano posto, ad esempio, accanto ad altre di Michelangelo Cerquozzi e di pittori a lui affini nel fascicolo dedicato al Maestro Acquavella, vero punto di snodo tra la ‘natura in posa’ della generazione postcaravaggesca e la natura viva che per primo Cerquozzi dipinge all’aperto, aprendo il corso alla ‘mostra’ barocca ormai inserita nel paesaggio per opera di Michelangelo del Campidoglio e di Abraham Brueghel.

Se invece, per tornare all’assunto iniziale, volessimo ricostruire le idee di Federico Zeri prima del 1989,  anno di pubblicazione dei volumi Electa, ci urteremmo subito contro l’ostacolo costituito dalla presenza, nelle sue cartelle, delle fotografie pubblicate in quel testo, probabilmente ottenute dalla casa editrice e spesso disposte nell’identica sequenza con cui illustravano i saggi; e le note al verso, talvolta dissenzienti ma raramente datate, non possono darci sufficienti certezze sulle sue convinzioni. Indicative ci sembreranno allora le assenze o gli scarti rispetto a quell’ordine: senza dimenticare però che innumerevoli e forse ben diverse potrebbero esserne state le ragioni.

Se dunque oggi volessi cercare nella fototeca di Federico Zeri le risposte ai dubbi che allora mi assillavano, otterrei probabilmente risposte diverse da quelle che, con l’aiuto di Giuliano Briganti, all’epoca mi sono data costruendo ipotesi di lavoro su cui sono ritornata in seguito con maggiore convinzione. Mi riferisco in particolare al nodo, all’apparenza inestricabile, che a Roma, nel corso degli anni 1660-1670, unì Abraham Brueghel (1631-1697) e Michelangelo del Campidoglio (1625-1669): un legame che ritengo reale e ben leggibile nelle opere documentate o attribuibili con buona probabilità – e insomma non determinato, come accade talvolta, dalle nostre opinioni confuse – ma i cui termini esatti continuano a sfuggirmi.


"Se dunque oggi volessi cercare nella fototeca di Federico Zeri le risposte ai dubbi che allora mi assillavano, otterrei probabilmente risposte diverse da quelle che, con l’aiuto di Giuliano Briganti, all’epoca mi sono data costruendo ipotesi di lavoro su cui sono ritornata in seguito con maggiore convinzione."


Punto di svolta nella mia ricerca sul catalogo di Michele Pace, allora quasi inesistente, fu la restituzione all’artista romano della composizione di frutta all’aperto con una figura femminile conservata a Providence, Rhode Island School of Design, nota fino a quel momento come opera di Abraham Brueghel (fig. 1) e di quella, simile per soggetto ma di composizione diversa, un tempo a Roma sul mercato antiquario,  anch’essa pubblicata come opera del pittore fiammingo (fig. 2)[2]. Appoggiate al confronto stilistico con i dipinti di Michele Pace all’Ermitage, che all’epoca ritenevo gli unici documentati dell’artista romano, e con il Venditore di frutta già nella raccolta Spencer Churchill (fig. 3)[3], queste attribuzioni a lungo discusse con Briganti e con Laura Laureati mi indussero a riferire a Michelangelo del Campidoglio una serie di altre opere a cui aggiunsi, più recentemente e dopo averla vista dal vero, la cosiddetta Bella raccoglitrice di frutta nella Gemäldegalerie di Dresda, anch’essa un tempo riferita a Brueghel[4].

È dunque con grande curiosità che ho cercato di ricostruire il punto di vista di Federico Zeri sulle questioni su cui, allora, avrei voluto interrogarlo e su cui negli anni successivi ero tornata a riflettere trovando conferma alle mie opinioni. Ho scoperto invece che entrambi i dipinti più sopra ricordati erano stati catalogati da lui tra le opere di Abraham Brueghel, nonostante la possibilità di confrontarli con le numerose immagini conservate invece, per l’appunto, tra quelle di Michele Pace; nella cartella di quest’ultimo ho ritrovato anche altre opere strettamente legate a quel tema e che nel volume Electa gli avevo infatti restituito,  quale la Natura  morta di uva  e melagrane con un  bassorilievo,  un tempo a Londra presso Paolo Brisigotti (fig. 4) che, come ho già indicato, è in rapporto strettissimo con un dipinto firmato di Brueghel nella Pinacoteca Camillo d’Errico a Palazzo San Gervasio (fig. 5)[5].

Nel fascicolo di Brueghel ho trovato invece, archiviata da Zeri, una natura morta che ancora non conoscevo e che, dalla sola fotografia, mi pare piuttosto riconducibile a Michelangelo del Campidoglio: di nuovo una composizione di zucche, uva e melagrane su un piano di pietra ornato da un bassorilievo, passata sul mercato antiquario milanese come opera del pittore fiammingo (fig. 6)[6]. Che lo stesso Zeri non avesse le idee chiare su questo argomento – che poi forse non trovava così appassionante – appare evidente dalla presenza, sotto il nome di Michele Pace, di due splendide composizioni dove personaggi maschili di grande qualità accompagnano la frutta estiva e autunnale dipinta da Abraham Brueghel: si tratta della Allegoria dell’Autunno di raccolta privata, un tempo a Roma presso Fabio Megna (fig. 7) che, comparsa subito prima che il volume Electa andasse in stampa, pubblicai come opera genericamente romana non avendo avuto il tempo di studiarla e che di lì a poco Luigi Salerno restituì giustamente a Brueghel[7]; e di una composizione di analogo soggetto ma di formato orizzontale che, ricomparsa sul mercato antiquario con la giusta attribuzione, posso riprodurre a colori e in uno stato conservativo che meglio ne consente la leggibilità e la restituzione della figura alla mano di Guglielmo Courtois (fig. 8)[8]. Il tema delle nature morte di fiori e frutta con figure è assai ben rappresentato nella cartella di Abraham Brueghel, dove Federico Zeri ha collocato anche una variante della cosiddetta ‘raccoglitrice di frutta’ (fig. 9)[9]  quasi identica alla versione milanese a suo tempo pubblicata da Bottari[10] (e di cui una versione incongruamente firmata e datata, pare, J. Weenix f. 1709 è stata venduta a Londra, Sotheby’s, nel 2002).


"Nel fascicolo di Brueghel ho trovato invece, archiviata da Zeri, una natura morta che ancora non conoscevo e che, dalla sola fotografia, mi pare piuttosto riconducibile a Michelangelo del Campidoglio: di nuovo una composizione di zucche, uva e melagrane su un piano di pietra ornato da un bassorilievo, passata sul mercato antiquario milanese come opera del pittore fiammingo"


Anche in questo caso, è incerta la paternità di un’invenzione ripetuta da entrambi: sarei tentata di riferirla a Michele Pace, cui si deve a mio avviso la versione nella galleria di Dresda, in considerazione della splendida figura dipinta da Guglielmo Courtois da cui palesemente attingono con esiti alterni le altre della serie.

Non è dubbio però che fu proprio Abraham Brueghel a coltivarne il genere con ricchezza e facilità di invenzione: valendosi, soprattutto, di collaboratori di primo piano, capaci di integrare le loro figure con gli elementi naturali tanto da ricreare, almeno nei casi più felici, quella ‘azione’ all’aperto che per primo Michelangelo Cerquozzi aveva mostrato come fondamento narrativo delle sue nature morte di frutta.

Tra i materiali raccolti sotto il nome di Brueghel troviamo ad esempio una composizione di frutta con una figura femminile presso un pergolato venduta a Londra da Sotheby’s nel 1996 come opera di Michelangelo del Campidoglio[11], ma giustamente ricondotta da Zeri al pittore fiammingo, sebbene con un punto di domanda (fig. 10). Posso presentare qui una sua variante, inedita e di bellissima qualità, venduta a Londra dalla stessa casa d’aste nel 2007, notevole anche per la bella figura maschile che la completa quale allegoria dell’Autunno (fig. 11). Di mano diversa la giovane donna che, nel dipinto pendant, compone un festone di fiori alludendo invece alla Primavera (fig. 12)[11].

Vorrei qui avanzare un’ipotesi che da tempo avevo preso in considerazione, in via del tutto teorica, ma che questo dipinto mi sembra proporre con una certa verosimiglianza: quella di una collaborazione con un altro pittore fiammingo, vale a dire quel ‘Francesco de Neve’ che in varie lettere del 1665 Brueghel propone ad Antonio Ruffo come pittore di figura per nulla inferiore a Carlo Maratti. Documentato a Roma tra il 1660 e il 1665 (e nel 1661-1662 nella stessa casa di un altro pittore di fiori, Hieronymus Galle) e attivo come pittore di figura come risulta da alcuni inventari, François de Nève (1635 ca.-1691 post) è oggi principalmente noto come incisore di tre serie di paesaggi stampate a Roma da Gian Giacomo de Rossi. Le figure in alcuni di essi, tratte dal mito o dalla fiaba pastorale, possono agevolmente confrontarsi nel loro modulo classicheggiante alla Primavera del nostro dipinto e al putto che la accompagna[13].

Più nota e assai meglio documentata è la collaborazione con Guglielmo Courtois (1628-1679), cui si devono alcuni tra gli esiti più complessi e felici di quest’aspetto della produzione bruegheliana dedicata al tema delle stagioni. Accanto a opere già note alla letteratura artistica la Fototeca Zeri conserva due foto amatoriali di un dipinto raffigurante uno scherzo di putti tra i fiori di un giardino[14]: la tela è nuovamente comparsa nel 2013 presso la Galleria Previtali, alla cui cortesia devo la possibilità di pubblicarla con una foto più adeguata e tale da rendere giustizia alla sua qualità (fig. 13). Riconosciamo, in un contesto diverso, gli stessi puttini dipinti dall’artista borgognone in una tela da tempo nota, firmata per esteso da Abraham Brueghel e recante una data frammentaria, ma riferibile ai primi anni Settanta (fig. 14)[15]: a distanza di anni Courtois sembra dunque ritornare su pensieri espressi, forse per la prima volta, nell’autunno del 1658 sul soffitto della Stanza dell’Acqua nel palazzo di Camillo Pamphilj a Valmontone, dove le morbide rotondità dei suoi bambini scherzosi, a lungo studiate dal vero, si mutano in pietra nelle mensole figurate che separano le scene.

Non è ancora riemersa, invece, la coppia di tele di grandi dimensioni dove, in collaborazione con Nicolò Berrettoni (1637-1682), un allievo di Carlo Maratti, Brueghel aveva dipinto frutta e fiori alludenti alle stagioni: sono così descritte nell’inventario che nel 1682, alla partenza per Napoli del nuovo viceré spagnolo, il marchese del Carpio, dava conto della straordinaria collezione riunita negli anni in cui, a Roma, era stato ambasciatore di Carlo II: «Due quadri compagni con frutti che rappresentano Le quattro staggioni [sic] di mano di Monsieur Abramo con quantità di Putti che scherzano con frutti e fiori di mano di Nicolò Beretone di palmi 4 e 10 in circa con suoi regoletti intorno indorati, ambi due insieme stimati in 600»[16].


"Come è da tempo riconosciuto, fu proprio il trasferimento a Napoli di Abraham Brueghel nel 1675 a imprimere un nuovo corso alla pittura napoletana, che sul suo esempio si allontanò in maniera decisa dalle intenzioni naturalistiche che fino allora l’avevano governata, e accolse invece i modelli sempre più esplicitamente decorativi proposti dal pittore fiammingo."


Come è da tempo riconosciuto, fu proprio il trasferimento a Napoli di Abraham Brueghel nel 1675 a imprimere un nuovo corso alla pittura napoletana, che sul suo esempio si allontanò in maniera decisa dalle intenzioni naturalistiche che fino allora l’avevano governata, e accolse invece i modelli sempre più esplicitamente decorativi proposti dal pittore fiammingo. Anche a Napoli Brueghel continuò a operare con pittori di figura: oltre all’episodio della sua partecipazione agli apparati voluti nel 1684 dal marchese del Carpio per la festa del Corpus Domini, riportato da De Dominici e commentato da Riccardo Lattuada[17], singole opere da tempo note documentano la sua collaborazione con Luca Giordano e con Nicola Vaccaro in scene all’aperto sempre più varie ed articolate (fig. 15)[18].

A queste si aggiunsero quelle nate dal sodalizio con il giovane Francesco Solimena (1657-1747), a Napoli dal 1674. Collaboratore, nei primi anni Ottanta, di vari specialisti tra cui Giuseppe Recco e Andrea Belvedere, avrebbe dipinto anche lui, secondo Bernardo De Dominici, dipinti di fiori, frutta e cacciagione oggi non rintracciati. Fotografie raccolte da Federico Zeri ne ricordano la collaborazione con Abraham Brueghel per un’invenzione il cui successo è documentato da un certo numero di repliche autografe e di scuola (fig. 16)[19].

Tra queste ultime, la versione venduta a Londra da Christie’s il 16 aprile 1999, n. 110, si accompagnava a una composizione analoga dove era invece presente una figura maschile: posso indicarne il modello, appena variato nella presentazione dei fiori ma indubbiamente superiore per la qualità e la freschezza delle figure, in una splendida coppia di tele a Genova in Palazzo Pallavicino (figg. 17-18)[20]. Non altrettanto ricca di sorprese è la cartella dedicata a Michelangelo del Campidoglio, i cui materiali rimandano in massima parte alle opere esposte alla storica mostra del 1964 e a quelle da me pubblicate nel volume Electa del 1989: alcune recano al retro annotazioni che le riferiscono più genericamente alla scuola romana ma, in assenza di date, sarebbe difficile precisare l’opinione di Zeri a questo proposito.

Tra le scoperte più interessanti vorrei però segnalare, sebbene non strettamente pertinente al nostro tema, la fotografia di un dipinto già sul mercato antiquario romano e di probabile provenienza chigiana (fig. 19)[21], raffigurante tre cani da caccia che si disputano una lepre sullo sfondo di un paesaggio. Il dipinto si lega alla nota serie di cani sullo sfondo dei feudi di casa Chigi eseguiti dall’artista romano nel 1665 per il Palazzo di Ariccia e tuttora lì conservati (fig. 20).

I documenti chigiani pubblicati da Golzio fanno del resto riferimento a circa venti dipinti di cani che Michele Pace avrebbe eseguito tra il 1658 e il 1666 per le diverse residenze extraurbane della famiglia; a queste commissioni si legano tra l’altro gli unici disegni riferibili con buona probabilità all’artista romano[22]. I pagamenti descrivono tele di grande formato dove gli animali campeggiano soli o in coppia, talvolta, come in questo caso, accompagnati da figure di servitori. Agli esemplari già noti e a quello riprodotto nella Fototeca  Zeri  posso aggiungere il dipinto, notevole anche per dimensioni, comparso a Londra da Christie’s nel luglio 2010[23], la cui provenienza è documentata dallo stemma del cardinale Flavio Chigi riprodotto a sbalzo sul collare del cane (fig. 21): come nelle tele conservate ad Ariccia, l’animale poggia su un risalto di roccia simile a quelli su cui, nelle sue composizioni di natura morta all’aperto, Michele Pace dispone la frutta, su identico sfondo di cielo.

 


        Note


  • [1]Zeri 1976a.
  • [2] Fototeca Zeri, invv. 161698  e 161678.
  • [3] Fototeca Zeri, inv. 161925
  • [4] Fototeca Zeri, invv. 161926  e 161707, 161708.
  • [5] Fototeca Zeri, inv. 161642.
  • [6] L. Trezzani, Michele Pace detto Michelangelo del Campidoglio, in Bocchi, Bocchi 2005, pp. 399-446.
  • [7] Salerno 1989, p. 83, fig. 74; L. Trezzani, Abraham  Brueghel detto Rijngraaf, in Bocchi, Bocchi 2004, pp. 116-147, in part. pp. 122-123, fig. AB 4.
  • [8] N. Spinosa, in Tableaux  2014, pp. 28-31.
  • [9] Fototeca Zeri, inv. 161677.
  • [10] Bottari 1960, fig.142a.
  • [11] Fototeca Zeri, inv. 161676, già Londra, Sotheby’s, 1 dicembre 1996, n. 19.
  • [12] Già Londra, Sotheby’s, 4 luglio 2007, n. 57.
  • [13] Le principali notizie su François de Nève sono, a tutt’oggi, quelle raccolte da Bodart 1970, v. 1, pp. 303-308. Per la sua presenza documentata a Roma si veda Bartoni 2012, ad indicem. Per le sue incisioni cfr. The Illustrated Bartsch 1979, pp. 130-151, in part. pp. 138-142 e 150. Un dipinto a lui attribuito è stato in asta da Sotheby’s a Londra il 9 luglio 2015, n. 158. Per citazioni di sue opere in inventari per lo più napoletani cfr. The Getty Provenance Index® Databases.
  • [14] Fototeca Zeri, invv. 161683, 161684, 161686.
  • [15] Fototeca Zeri, invv. 161699, 161701.
  • [16] The Getty Provenance Index® Databases.
  • [17] Lattuada 1997.
  • [18] Fototeca Zeri, invv. 161681, 161682. Un dipinto di fiori e frutta di Abraham Brueghel con figure di Vaccaro è descritto nel 1707 nell’inventario di Elisabetta Vandenynden, principessa di Belvedere e Carafa; uno di fiori con putti di Giovan Battista Beinaschi in quello di Matteo Gagliano, vescovo di Fondi (1699); vari dipinti con fiori, frutta e figure, queste ultime non attribuite, sono descritti nel 1725 nell’inventario del principe Spinelli di Cariati; due quadri di fiori con puttini di Solimena risultano nel 1741 nell’inventario di Stanislao Poliastri, Arcivescovo di Rossano. Per tutti i documenti citati cfr. The Getty Provenance Index®  Databases.
  • [19] Una versione, cm 122,5x197, è stata venduta a Londra da Sotheby’s l’11 dicembre 1996, n. 18 (Fototeca  Zeri, invv. 161690-161692, nella cartella “Abraham Brueghel”). Un’altra versione, anch’essa venduta a Londra da Sotheby’s l’11 dicembre 1991, n. 32, misura invece cm 75x101,5 e sembrerebbe la stessa poi a Roma nella Galleria Cesare Lampronti a partire dal 1993 (Fototeca  Zeri, inv. 161689, sempre nella cartella “Abraham Brueghel”).
  • [20] Ho già avuto occasione di pubblicarle in Boccardo, Orlando 2009, pp. 118-119 n. I.8. Altre quattro tele di Brueghel firmate e datate 1690 sono conservate nello stesso palazzo (A. Orlando, ivi, pp. 117-118 n. I.7).
  • [21] Fototeca Zeri, inv. 161885, già Roma, asta Antonina nel 1997 (?). Attribuito a Pace da annotazione di Zeri del 1998 sul retro della foto.
  • [22] Cocke 1991. Tra le varie attribuzioni proposte in quell’occasione ha trovato consenso solo quella relativa al foglio nel Musée des Beaux-Arts di Besançon preparatorio per il dipinto con la veduta di Ariccia (ivi, alla fig. 15); Epifani 2007, fig. 1, per un altro studio di levriero a sanguigna.
  • [23] Già Londra, Christie’s, 6 luglio 2010, n. 9.

 


Pubblicato in La natura morta di Federico Zeri, a cura di Andrea Bacchi, Francesca Mambelli, Elisabetta Sambo, Bologna, Fondazione Federico Zeri, 2015 con i numeri di pagina originali 179-193