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di Anna Orlando

La lezione di Rubens

La Royal Academy di Londra dimostra che il fiammingo di Anversa (1577-1640) ha ispirato moltissimi giovani che si sono confrontati, per esercizio o sfida, sulla forza della sua pittura.

La lezione di Rubens non si esaurisce nella generazione dei suoi allievi diretti, ma il suo lascito arriva fino ad artisti molto più vicini a noi, che lo hanno studiato, copiato, imitato. La Royal Academy di Londra dimostra che il fiammingo di Anversa (1577-1640) ha ispirato moltissimi giovani che si sono confrontati, per esercizio o sfida, sulla forza della sua pittura. Per esempio Boucher e Fragonard nel Settecento, Delacroix nell’Ottocento, fino all’inquieto Bacon qualche decennio fa: in molti hanno avuto l’umiltà e l’intelligenza di guardare al grande maestro del barocco.
La tesi è sviluppata nella mostra “Rubens and his Legacy. Van Dyck to Cézanne”, realizzata con il Museo di Belle Arti di Anversa e il Palais des Beaux-Arts di Bruxelles, aperta ancora  per poco, fino al 10 aprile.

Si basa su studi accurati documentati in catalogo a cura di Nico Van Hout, ma risulta evidente anche al solo sguardo di chi attraversa le sale al piano principale del palazzo di Piccadilly. Centotrenta opere intrecciano le seduzioni pittoriche di Rubens, sacre o profane, con quelli di artisti venuti dopo. Senza dimenticare che lo stesso Rubens ha a sua volta studiato i maestri del passato: i marmi antichi a Roma, Raffaello e Michelangelo, e poi la pittura coloratissima dei veneziani, Tiziano, Veronese e Tintoretto. Ogni suo quadro è un omaggio ai maestri antichi e ogni scena, seppur costruita con fantasia fuori dall’ordinario, è ispirata a qualcosa che ha visto nei suoi viaggi. Per esempio a Genova, dove arriva nel 1605. Le dimore aristocratiche ispirarono il suo volume “I Palazzi di Genova” stampato ad Anversa nel 1622. Ma a ben guardare la grande tela “Il giardino dell’amore” del 1633, in prestito dal Prado di Madrid, in una sala centrale della mostra londinese, c’è da chiedersi davvero se quella fontana dove si raccolgono dame e gentiluomini avvolti in sete vaporose e abbondanti, accompagnati da ancelle e angioletti svolazzanti, non si ispirata ai ninfei delle ville visitate a Genova.
I ninfei sono luoghi fantastici, isole di piacere, al limite tra svago e libidine. Tra colonne tortili e finte stalattiti, giochi d’acqua e profumi inebrianti di un’eterna primavera. Così nel “Giardino dell’amore” che a Londra è accompagnato da disegni, studi, bozzetti e successive stampe che fecero fare a questo soggetto il giro d’Europa, si coglie uno degli aspetti più contagiosi del barocco, pittura di teatro e puro piacere.

Nella sala accanto, molti ritratti. Rubens inventa una nuova formula capace di scardinare la rigidità della ritrattistica cosiddetta “internazionale” di fine ‘500. I signori e le gentildonne che posano per lui hanno una vivacità e una naturalezza di “umori” e affetti senza precedente. Van Dyck, suo pupillo ad Anversa, impara subito la lezione. Lo vediamo in mostra con una meravigliosa “Dama genovese con il figlio” proveniente dalla National Gallery di Washington, ma in origine, per certo, in una collezione di Genova. E’ accanto alla “Gentildonna con un nano” del maestro, proprietà del National Trust inglese. E poi di fonte una infilata di ritrattisti inglesi, evidentemente debitori di questo lascito.
Divisa per temi e soggetti, la bella mostra londinese è ricca di suggestioni, fino alle più azzardate, ma condivisibili, nella sala collaterale curata dall’inglese Jenny Saville con opere di artisti del XX e XXI secolo:  Willem de Kooning, Pablo Picasso, Francis Bacon, Lucian Freud, fino ai contemporanei, come Cecily Brown e Sarah Lucas.