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di Maria Cristina Terzaghi

TANZIO INCONTRA CARAVAGGIO

La mostra allestita a Napoli rappresenta il punto d'arrivo fondamentale degli studi sugli anni spesi in Italia Centrale e Meridionale dal grande pittore piemontese.

Era noto da tempo che Tanzio, al secolo Antonio d’Enrico, mattatore della pittura di primo Seicento al Sacro Monte di Varallo, abbia perfezionato il mestiere grazie ad un viaggio a Roma ad apertura del XVII secolo. Al documento che attestava la volontà del giovane artista di lasciare la Valsesia insieme al fratello Melchiorre, lui pure pittore, per raggiungere la città eterna in occasione del giubileo clementino, si sono via via aggiunti i contributi di Roberto Longhi, Ferdinando Bologna, Giovanni Previtali, e, più recentemente, Franco Battistella, che hanno rintracciato tre spettacolari opere dell’artista in Abruzzo ed una, ahimé, quasi distrutta nella sua integrità, e nonostante ciò, dirompente nella sua forza espressiva, a Napoli.


A partire dal 2009, tuttavia, un importante ritrovamento documentario (da attribuire a Giuseppe Porzio e Domenico Antonio D’Alessandro), relativo al processetto prematrimoniale del pittore, celebrato a Napoli nell’estate del 1610, e la scoperta di una Natività, firmata “Antonio d’Enrico”, certamente riferibile alla fase giovanile dell’artista (ritrovata da Marco Franzone), hanno costretto ad una completa revisione degli studi sin qui condotti sugli anni spesi dall’artista in Italia Centrale.


La mostra allestita a Napoli tenta di dare conto di questa nuova straordinaria congiuntura, chiamando in causa una trentina di opere che illustrano il percorso dell’artista e le sue connessioni stilistiche. Oltre alla già ricordata Natività sono stati convocati infatti in mostra tutti i dipinti noti di Tanzio riferibili a questo periodo, ad eccezione del capolavoro, la pala di Pescocostanzo del 1614, il cui mancato prestito esula ovviamente dalla volontà del comitato scientifico. Tra di essi si segnalano la nuovissima attribuzione all’artista di un notevole rame conservato al Museo di Lille (Baudequin 2014) e la conferma al catalogo del pittore di un bellissimo San Giovanni Battista in collezione privata, già attribuito a Tanzio da Filippo Maria Ferro nel 1996 e poi negletto dagli studi sul pittore. A queste prove  si sono aggiunte alcune tele redatte da Tanzio probabilmente a ridosso del rientro in patria, che ancora conservano intatto il sapore dell’esperienza centroitaliana (tra le altre una delle due redazioni del David e Golia di Varallo, che il restauro condotto in questa occasione ha recuperato nella sua completa e sorprendente leggibilità, e la bellissima pala della collegiata di Domodossola, raffigurante San Carlo comunica gli appestati già in situ nell’estate del 1616). Dalle stesse parole di Tanzio al momento di accasarsi con Apollonia Aversano, vedova napoletana che per inspiegabili motivi non divenne mai la signora D’Enrico, apprendiamo che il giovane artista restò a Roma solo tre anni, lavorando “all’opera del Cavalier d’Arpino” per poi spostarsi molto presto a Napoli dove è certamente documentato nel 1608, in costante contatto con la comunità tedesca, a cui lo legava il ceppo linguistico walser. Tedeschi e pittori sono pure tre dei quattro testimoni chiamati a deporre al processetto a favore del celibato di Tanzio. Uno solo di essi, Jacob Ernst Thomann von Hagelstein, allievo a Roma di Adam Elsheimer, ha un’opera certa al suo attivo. Esposta in mostra essa testimonia che a Roma Tanzio poté forse conoscere il luminismo del celebre maestro tedesco, ma il plasticismo della pittura giovanile del D’Enrico è lontano dalle figurette quasi miniaturistiche degli allievi di Elsheimer. A Roma Tanzio conobbe comunque la pittura degli artisti della Tardamaniera, tra cui l’Arpino, peraltro attivo anche a Napoli, ed entrò certamente in contatto con Caravaggio, tanto che il San Giovanni Battista di cui si diceva rappresenta una delle più antiche riprese note del primo San Matteo Contarelli, mentre il Martirio di San Lorenzo esposto a Napoli registra inequivocabilmente il laterale con il Martirio di San Matteo.


E’ però a Napoli che Tanzio assorbe in toto il naturalismo del Merisi, ed è in buona compagnia. La mostra documenta infatti lo stringente rapporto stilistico delle opere giovanili del D’Enrico con la coeva pittura di Battistello (di cui si ammirano alcuni capolavori: la Madonna della Stella, la Madonna con Bambino e San Giovannino del Museo di San Martino ed una bellissima Natività), di Carlo Sellitto (di cui sono esposti tre dipinti) e di Filippo Vitale, rappresentato dalla pala delle Sacramentine, che si scopre in questa occasione eseguita nel 1618.


Se le connessioni con i caravaggeschi napoletani della prima ora erano state almeno in parte suggerite dalla critica, nuovo è il parallelismo che si istituisce con la pittura del fiammingo Louis Finson documentato nell’esposizione con un bellissimo San Sebastiano ed un David e Golia da confrontarsi con quello tanziesco e con il capolavoro del Cavalier d’Arpino già Aldobrandini firmato e datato 1598, tutti presenti in mostra. A queste tangenze sono state aggiunte due opere redatte a cavallo tra il primo e secondo decennio del Seicento da Filippo Santafede e Ippolito Borghese che testimoniano un inedito naturalismo, sperimentato anche da artisti generalmente ancorati ad una pittura standardizzata su un linguaggio tardo cinquecentesco. Il percorso si conclude con il Martirio di Sant’Orsola di Caravaggio, parte integrante della collezione permanente di Palazzo Zevallos, per l’occasione esposto accanto ad una tela di omonimo soggetto di Giovanni Bernardino Azzolino. Queste due opere documentano il circuito collezionistico in cui Tanzio risulta inserito a Napoli. Opere dell’artista valsesiano compaiono infatti nella collezione di Lanfranco Massa, agente del principe Marcantonio Doria, proprietario della Sant’Orsola, di cui il Massa tratta personalmente, come è noto, la commissione a Caravaggio nel 1610, poco prima della tragica morte del pittore. Nella collezione di Massa figuravano anche numerose tele di Azzolino che certamente si ispirò al prototipo caravaggesco per la redazione del dipinto qui esposta. Tanzio risulta dunque a tutti gli effetti parte integrante, e forse anche, almeno in parte, propulsiva, della grande stagione caravaggesca nei territori dell’Italia centro meridionale.