notizia

di Maria Cecilia Fabbri

La rinascita di Sigismondo Coccapani

Questo volume sancisce ufficialmente la rinascita di Sigismondo Coccapani quale artista coerente con sé stesso, con il proprio stile pittorico e con la stagione storica nella quale si trovò a operare.

Il 25 settembre scorso in palazzo Corsini a Firenze, nell’ambito della XXX Biennale Internazionale dell’Antiquariato, Cristina Acidini e Claudio Pizzorusso hanno presentato l’attesa monografia dedicata a Sigismondo Coccapani da Elisa Acanfora, nota studiosa – già allieva di Mina Gregori – distintasi negli anni anche (e non solo) per i numerosi e fondamentali contributi sul pittore, nato a Firenze nel 1583 da una nobile famiglia di origine carpigiana e formatosi, dopo un breve tirocinio presso Bernardo Buontalenti, nella bottega di Ludovico Cardi detto il Cigoli.

Ciò che rende ancor più gradita l’uscita alle stampe di questo volume è il fatto che esso sancisce ufficialmente la rinascita di Sigismondo Coccapani quale artista coerente con sé stesso, con il proprio stile pittorico e con la stagione storica nella quale si trovò a operare. Trascorsi ormai venticinque anni dalla debita restituzione ad Alessandro Rosi, attivo a Firenze nella seconda metà del Seicento, di gran parte dei dipinti in precedenza attribuiti (da Roberto Longhi in poi) a Coccapani – da qui la perdurante immagine del pittore dotato di doppia personalità, tradizionale e precorritrice a un tempo – il numero delle opere scampate alla diaspora e sicuramente riferibili a quest’ultimo si è di conseguenza ridotto. Ma è pur vero che dal 1989 a oggi Elisa Ancanfora, sostenitrice ante litteram di una netta distinzione fra i due artisti grazie anche alle nuove scoperte relative a Rosi (di cui ha pubblicato la monografia nel 1994), si è molto impegnata nella ricomposizione del catalogo delle opere di Coccapani che nel frattempo si accresciuto anche per merito di altri studiosi, tra cui Miles Chappell per la produzione grafica. Questa monografia, infatti, presenta ora numerose importanti restituzioni per arrivare, come si dirà, a ventisette dipinti – con tre assoluti inediti pittorici – e a un numero elevatissimo di disegni autografi, in parte riconosciuti fra quelli erroneamente riferiti a Cigoli o al suo entourage, in parte rivelatisi preparatori


"...alternò alla professione di pittore, dedito di preferenza ai quadri da stanza, una fortunata attività progettuale in veste di architetto, ingegnere e trattatista."


In base a tali premesse non è esagerato affermare che questo libro, frutto di un processo di ricerca protrattosi nel tempo e irto di ostacoli, rappresenti per Elisa Acanfora una battaglia tenacemente combattuta e vinta allo scopo di restituire a Coccapani, per troppo tempo giudicato a torto un pittore marginale o nel migliore dei casi un “nobile dilettante”, il ruolo che gli spetta di diritto nell’ambiente artistico fiorentino della prima metà del Seicento e un’immagine il più possibile aderente a quella tramandataci dal suo biografo Filippo Baldinucci. La monografia infatti, pur nei dichiarati limiti di completezza, segna un innegabile passo avanti nel moderno recupero della complessa personalità di Sigismondo Coccapani; il quale, a detta di Baldinucci e di altre fonti antiche, alternò alla professione di pittore, dedito di preferenza ai quadri da stanza, una fortunata attività progettuale in veste di architetto, ingegnere e trattatista. A queste va aggiunta l’attività parallela di appassionato collezionista di incisioni nordiche (Albrecht Dürer, Luca di Leida, Heinrich Aldegrever) e di un folto numero di disegni eseguiti da lui stesso e da vari autori – questi ultimi provenienti in buona parte dalla bottega del defunto maestro Cigoli – accomunati dal medesimo marchio impresso a secco (classificato da Frits Lugt sotto il numero 2729), nel quale Miles Chappell riconobbe già nel 1983 l’arme della famiglia Coccapani: un ariete nero rampante in campo d’Argento con due fasce rosse.

I due capitoli che approfondiscono separatamente, l’uno di seguito all’altro, la figura di Sigismondo Coccapani in qualità di architetto e di collezionista di disegni – suo, stante la presenza del marchio, fu pure un foglio di Niccolò dell’Abate oggi a Lille – fungono da intermezzo all’interno del lungo saggio che ricostruisce la carriera del pittore, creando una sorta di linea spartiacque che divide la narrazione in due parti: prima e dopo Roma. I capitoli iniziali prendono in esame il contesto familiare – composto dal padre Regolo, orafo di professione, e dai fratelli Giovanni, noto architetto e matematico, Vincenzo e Giovan Battista, erede quest’ultimo dell’attività paterna –, gli inizi di Coccapani nella bottega fiorentina del Cigoli, la sua immatricolazione all’Accademia del Disegno nel 1609 e gli anni trascorsi a Roma (1609-1613 circa) fra gli stretti collaboratori del maestro negli affreschi della cappella Paolina in Santa Maria Maggiore. Le sezioni seguenti, invece, ripercorrono passo passo il trentennio di attività del pittore, divenuto titolare di una propria bottega, esercitata stabilmente a Firenze fino alla morte documentata il 3 marzo 1643.


"A corollario del saggio seguono il regesto con la trascrizione dei documenti (comprensivo di diversi inediti) e le schede relative alle ventisette pitture ad oggi riferite a Coccapani"


A corollario del saggio, dalla prosa chiara ed elegante, seguono il regesto con la trascrizione dei documenti (comprensivo di diversi inediti) e le schede relative alle ventisette pitture ad oggi riferite a Coccapani, distribuite lungo la traiettoria temporale segnata da quattro capisaldi pittorici d’indiscussa paternità, citati dalle fonti e ben rappresentativi delle diverse fasi attraversate dall’artista: s’intendono la lunetta giovanile ad affresco siglata e datata 1613 nel primo chiostro del convento domenicano di San Marco; la tela con Michelangelo incoronato dalle quattro Arti, incastonata nel 1617 al centro del soffitto della galleria Buonarroti; il Cristo benedicente in ovale collocato nel 1622 sull’altare Baldovinetti nella pieve di Santa Maria Novella a Marti; e infine, esemplari dell’attività estrema, le due tele e gli affreschi eseguiti entro il 1642 nella cappella Martelli della chiesa dei Santi Michele e Gaetano a Firenze. A queste opere certe si sono aggiunti nel tempo noti capolavori come Sansone e Dalila (1613-1620; collezione privata) e Betsabea al bagno (post 1620; collezione privata) e altri notevoli autografi contrassegnati dal monogramma ‘GC’ a lettere intrecciate (da sciogliersi in ‘Gismondo Coccapani’), spesso erroneamente attribuito ad altri pittori (in primis Cosimo Gamberucci). Rientrano fra le opere siglate la pala con l’Adorazione dei Magi già in Santa Maria di Castello a Signa, pubblicata insieme alla data 1617 da Elisa Acanfora fin dal 1986; la lunetta ad affresco nel fiorentino Casino di San Marco con L’Architettura presenta a Cosimo II un progetto, eseguita per il cardinale Carlo de’ Medici e sottratta dalla studiosa (1998) al catalogo di Anastagio Fontebuoni; e soprattutto la splendida Erminia fra i pastori in collezione privata, siglata nel 1620 e resa nota da Giovanni Pagliarulo (1989). A questa tela Elisa Acanfora ha ricollegato uno schizzo compositivo a penna degli Uffizi (n. 8886 F), uno studio preparatorio a matita nera e rossa con Fanciullo a tre quarti di figura (Collezione privata) e l’ipotesi, assai verosimile, di una originaria appartenenza dell’opera al ciclo di sei tele di tema tassesco annotato su un foglio dal medesimo Coccapani; ciclo forse commissionatogli da Andrea di Amerigo Capponi come parrebbero suggerire alcune carte dell’Accademia del Disegno.


"Fra le restituzioni al pittore effettuate da Elisa Acanfora spiccano la Temperanza affrescata in palazzo Albizi a Firenze, da sempre ricondotta ai pennelli di Ottavio Vannini, e il Martirio di San Bartolomeo nel Museo di Santa Verdiana a Castelfiorentino, pala fino al 2009 creduta ancora di Cosimo Gamberucci"


Fra le restituzioni al pittore effettuate da Elisa Acanfora spiccano la Temperanza affrescata in palazzo Albizi a Firenze, da sempre ricondotta ai pennelli di Ottavio Vannini, e il Martirio di San Bartolomeo nel Museo di Santa Verdiana a Castelfiorentino, pala fino al 2009 creduta ancora di Cosimo Gamberucci nonostante la presenza dell’ormai noto monogramma ‘GC’ e la sua pubblicazione fin dal 1998, a firma della studiosa, come autografo databile fra il 1608 e il 1613. Paternità oggi ribadita nella monografia grazie a ulteriori disegni preparatori individuati dall’autrice. I confronti stilistici istituiti rispettivamente con la pala giovanile di Castelfiorentino e il citato Cristo benedicente di Marti, risalente al 1622, hanno consentito ad Acanfora di ricondurre alla mano di Coccapani anche due dipinti inediti: Ester e Assuero già in collezione Spark a New York e il San Francesco in meditazione (Ubicazione ignota) tuttora catalogato presso la fototeca dell’Istituto Olandese di Storia dell’Arte a Firenze come cerchia del Cigoli. All’ovale di Marti si lega pure, come giustamente sostenuto dalla studiosa, la tela con la Testa di San Giovanni Battista sul bacile, proveniente ab antiquo dalla chiesa fiorentina di San Giuseppe e ora documentata da uno studio preliminare individuato agli Uffizi (n. 7136 F). Un altro inedito pubblicato nel volume da Elisa Acanfora è il Ritratto di Cosimo II de’ Medici (1620 circa; collezione privata) che attesta, unitamente al noto Autoritratto (1619; Firenze, depositi delle Gallerie) e alla rinvenuta effige di Paolo Coccapani vescovo di Carpi (post 1625; Carpi, Museo Civico), la fama goduta dal pittore anche nel campo della ritrattistica.

Estremamente accurata appare, infine, la trattazione dei disegni autografi di Coccapani – ora ascesi a un totale di 160 esemplari – che risultano esaminati nel loro complesso nel catalogo ragionato in calce al volume e illustrati, quando preparatori, anche a corredo delle schede dei dipinti.

 


E. Acanfora, Sigismondo Coccapani. Ricomposizione del catalogo, Aska Edizioni, Firenze 2017