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di Marco Riccòmini

The Sky is a Great Space

Grande è ancora lo spazio per chi finora ha guardato solo alle sue spalle.

Vuoi per rimirare la punta eclettica di un grattacielo Déco, vuoi per scrutare il cielo interrogandosi sul tempo che farà, sull’isola di Manhattan si va a spasso col naso all’insù. Anche dentro i suoi musei, ammirando colossali totem oceaniani, oppure gli aggrovigliati cirri di lustro metallo, un tempo appesi nella cucina torinese di Marisa Merz. Nubi grigie pendono anche sulle nostre teste. Il bottino della casa di York Avenue (priva anche quest’anno del match con la sua storica rivale) è stato inferiore di circa un terzo rispetto al 2016 ($37,324,625/$92,674,451), e se le percentuali di vendita della Evening Sale sono in linea con quelle dello scorso gennaio (34/55, rispetto a 30/57), anche stavolta si fa cassa con pochi lotti (dei $27,234,000 più della metà si devono a tre soli quadri: Rubens+Drost+de Coster = $14,550,000.

Nel 2016 dei $53,473,500 della tornata serale il solo Gentileschi ne realizzò più della metà: $30,490,000). Più solide paiono le aste di disegni (Sotheby’s come lo scorso anno: $4,534,750/$4,864,000; Christie’s raddoppia: $6,168,000/$3,201,688), ma son cifre minute quelle che corrono su quei tavoli da burraco. La retrospettiva sull’altra metà di Merz (al Met Breuer fino al 7 maggio), ha per titolo: The Sky is a Great Space. Prendendo spunto, verrebbe da dire che lo spazio non manca neanche per chi finora ha guardato all’indietro (più indietro dell’Arte Povera). Sarà un caso allora se, al simposio newyorkese, i redattori della rivista Master Drawings, archiviando l’era della connoisseurship, hanno aperto agli articoli sui disegni “moderni”?