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di Stefano Pirovano

Il futuro è Apollo, una scommessa per Bonisoli.

Parla l'Avvocato Giuseppe Calabi, che durante la precedente legislatura ha coordinato il progetto Apollo. Come i principali operatori del mercato, Calabi auspica che da qui si possa ripartire per disegnare il mercato dell'arte italiana di domani.

Mentre la questione immigrazione infiamma le prime pagine dei giornali dando prova di un governo pronto a rompere con il passato, il nuovo Ministro dei Beni e delle Attività Culturali Alberto Bonisoli sembra per ora aver adottato un passo più cauto e rispettoso di quanto di buono è stato fatto dal suo predecessore Dario Franceschini. Abbiamo perciò intervistato l'Avvocato Giuseppe Calabi, che ha coordinato il progetto Apollo, ovvero il tavolo di discussione tra il Ministero e i principali attori del mercato dell'arte che durante la precedente legislatura è riuscito a condurre in porto alcune riforme straordinariamente importanti per l'intero settore, come quelle che riguardano la circolazione dei beni culturali all'estero. Probabilmente quanto fatto non sarà sufficiente a permettere al mercato italiano di competere con le piazze migliori. Ma visto che di recente il Ministro Bonisoli ha ribadito che “parlare di cultura vuol dire parlare di industria culturale e creativa, e di conseguenza significa parlare di lavoro, risorse e qualità della vita” (Roma, 21 giugno), ecco che l'esperienza di Apollo e delle energie che lo hanno alimentato si pone come fondamentale antefatto a scelte future possibilmente un po' più coraggiose.

 

Come è nato il progetto Apollo?

Direi che Apollo è nato soprattutto dall'insoddisfazione di molti operatori del mercato dell'arte, a valle di un convegno organizzato dal Sole 24 Ore nel 2013, nel quale ebbi modo di intervenire riguardo alla problematica della circolazione internazionale delle opere d'arte. In quell'occasione, con il contributo di Clarice Pecori Giraldi, allora country manager di Christie's, si fece strada l'idea che sarebbe stato opportuno provare a suggerire una riforma anche parziale di una normativa vecchia ormai di un secolo. Al tavolo si sono seduti i principali attori del settore, ovvero l'Associazione Nazionale Gallerie d'Arte Moderna e Contemporanea, l'Associazione Nazionale delle Case d'Asta Italiane, l'Associazione Antiquari d'Italia, i rappresentanti delle principali case d'asta internazionali. L'obiettivo era modificare la circolare ministeriale del 1974 che disciplinava l'esportazione delle opere oltre i confini nazionali. In questa prima fase si cercò di dialogare con quella che oggi è la Direzione Generale Archeologia Belle Arti e Paesaggio. Ma le proposte fatte presto si sono arenate, anche a causa del pensionamento del funzionario ministeriale responsabile di allora, la Dottoressa Maddalena Ragni.

 

Ma non vi siete dati per vinti, giusto?

A questa prima fase, che è stata infruttuosa, ne è seguita una seconda, Apollo 2, in cui si è preferito parlare direttamente con il Ministro e con i decisori politici diretti. La piattaforma di discussione è stata meglio strutturata, e si è allargato il gruppo dei partecipanti, includendo la rappresentanza delle principali case d'asta internazionali e degli operatori della logistica. Le forze politiche allora in campo hanno accolto positivamente la discussione, forse anche in ragione del fatto che le proposte venivano da un fronte ampio e compatto. Credo, d'altra parte, che se fossero stati singoli operatori a prendere l'iniziativa il risultato non sarebbe stato lo stesso.

 

In che forma si è strutturata la vostra istanza?

Le proposte da vagliare sono state presentate attraverso un documento condiviso al Ministro dei Beni e delle Attività Culturali, Dario Franceschini, e ai suoi più stretti collaboratori, ovvero il funzionario responsabile dell'Ufficio Legislativo e il Consigliere Giuridico del Ministro. Io mi sono occupato del coordinamento dei testi e delle proposte.

 

Questa volta le cose sono andate meglio, almeno in parte, anche grazie a Franceschini.

Siamo arrivati a una posizione di compromesso, che si è materializzata nel commi 175 e 176, articolo 1 della legge 124 del 2017, nota come Legge Concorrenza. E a questo proposito bisogna dare atto a Franceschini di avere avuto una buona intuizione, che ha individuato in questa legge l'unico veicolo possibile alle proposte concordate. Probabilmente una proposta di legge ad hoc non avrebbe trovato spazio. Al contrario, la Legge Concorrenza, pur con tutte le difficoltà del caso, alla fine è stata approvata il 2 agosto dello scorso anno.

 

In cosa consiste la riforma?

I punti fondamentali della nuova legge sono tre. Il primo è l'innalzamento della soglia temporale da 50 a 70 anni, che permetterà di far circolare l'arte fuori dall'Italia in modo temporaneo o permanente con semplice autocertificazione, quindi con una presa di responsabilità da parte del privato che, in questo caso, dichiara che un certa opera di artista non più vivente ha meno di settantanni. Tuttavia, il ministro ha voluto introdurre un temperamento a questo principio, introducendo un ulteriore gruppo di opere, ovvero di quelle di artisti non più viventi, create tra 50 e 70 anni, per le quali continua a valere il principio dell'autocertificazione, ma per le quali può essere posto vincolo di non esportazione qualora fossero ritenute dagli organi di competenza di 'eccezionale' interesse storico.

 

Non si tratta di un temperamento che, di fatto, sterilizza la norma?

A quanto mi risulta dall'entrata in vigore della legge questo potere è stato esercitato solo in un paio di casi. I tempi di intervento, per altro, sono molto stretti. Ci sono solo 60 giorni dalla data di presentazione dell'autocertificazione tramite il Sistema Informativo degli Uffici di Esportazione, il cosiddetto SUE.

 

Bene quindi per il primo punto. Poi?

Il secondo punto è la soglia di valore, che è stata attuata con decreto a firma del Ministro uscente in data 17 maggio 2018, registrato dalla Corte dei Conti in data 19 giugno ed attualmente in vigore... Con questo decreto la soglia di valore acquisisce diritto ufficialmente di cittadinanza nel nostro sistema. Si tratta di una soglia molto modesta, 13.500 euro, quando nella nostra proposta originaria si era ritenuto opportuno allinearsi al regolamento della Comunità Europea in materia di esportazione di opere d'arte fuori dal territorio dell'Unione, ovvero 150.000 euro per i dipinti e 50.000 euro per le sculture. L'Italia ha optato per una soglia più bassa, ma si noti che tale soglia non vale per i beni archeologici, il che è ragionevole nonché previsto dalla regola comunitaria. Come dicevo, probabilmente la soglia è troppo bassa, ma va anche detto che per la legge italiana i beni culturali non sono merci.

 

Già, ma al di là della soglia, il problema più spinoso riguarda la discrezionalità in merito ai criteri secondo cui il funzionario decide di non concedere a un bene la libera circolazione.

Infatti, altra cosa importante ottenuta grazie ad Apollo è stato il rinnovo dei criteri che l'Ufficio Esportazione deve adottare per decidere se un'opera può uscire o no dall'Italia, sostituendo una circolare che risaliva al 1974. Anche questo dovrebbe agevolare il compito dell'Ufficio Esportazione. Questo decreto è stato approvato lo scorso 7 dicembre, ed è il risultato di un ulteriore gruppo di lavoro di cui abbiamo fatto parte, tra gli altri, io e Carlo Orsi, allora Presidente dell'Associazione Antiquari d'Italia. Ora il pregio artistico non è più considerato un criterio sufficiente per impedire l'esportazione del bene, perché ovviamente questo tipo di approccio lasciava spazio a una discrezionalità che spesso poteva diventare pure arbitrio personale. Ora, anche in caso di artista straniero, deve essere data maggiore evidenza della motivazione e quindi del legame pertinenziale dell'opera con il patrimonio culturale italiano. In altre parole, un bell'oggetto non può più essere come tale trattenuto in modo forzoso. Infine, è stato sostituito un vecchio decreto del 1913 in materia di ingresso nello Stato italiano di beni acquistati all'estero. Ora la procedura per ottenere il Certificato di Avvenuta Spedizione e quello di avvenuta importazione, rinnovabile ogni cinque anni su richiesta dell'interessato, è più semplice e diretta. Anche questa è materia contenuta nel decreto attuativo firmato da Franceschini lo scorso 17 maggio.

 

Tuttavia, nessun principio è stato ancora introdotto riguardo al fatto che lo Stato, quando emette notifica limitando di fatto la proprietà privata, non si impegna poi ad acquisire il bene, come invece avviene nei paesi più avanzati. Avete mai affrontato il problema?

Questo è un tema tabù per le finanze italiane. Franceschini disse che gli sarebbe piaciuto introdurre un sistema simile a quello vigente in Francia o in Inghilterra, ma che per farlo lo Stato non ha denari sufficienti. Il problema quindi rimane e viene in qualche modo scaricato sul proprietario dell'opera. Forse in futuro lo si potrà affrontare in modo più equo lavorando sulla fiscalità, ovvero favorendo attraverso un meccanismo di sgravi fiscali la raccolta di fondi privati che permettano alle opere notificate di entrare nelle collezioni dello Stato Italiano.

 

Cosa ne pensa il Ministero di questa riforma?

Non si può dire che la burocrazia del Ministero dei Beni culturali abbia amato questa riforma. L'ha vista come una decisione politica imposta dall'alto. E quindi c'è stata in questi mesi una certa resistenza alle nuove norme. Ma alla fine la legge è passata e ora tutti la devono osservare, a partire dai privati, che si assumeranno la responsabilità di auto-certificare il valore delle opere che intendono eventualmente esportare. Nel caso in cui il valore non sia coerente ci sono delle conseguenze penali per reato di esportazione illecita, che è punito con la reclusione fino a 4 anni. Visto nell'ottica di una altro disegno di legge, che poi si è arenato e che riguardava l'inasprimento delle pene che puniscono i delitti contro il patrimonio, questa sembra una via da non abbandonare. Ma questi temi, come quelli relativi alle falsificazioni di opere d'arte, non sono stati trattati dal Apollo.

 

Come giudica l'operato di Franceschini?

Merito di Franceschini è stato ascoltare le esigenze della categoria, e così lanciare un messaggio molto importante al sistema dei beni culturali: mercati e patrimonio pubblico non sono nemici. Anzi, l'uno e l'altro devono lavorare in armonia proteggendo un valore che poi non si trova solo nelle stanze dei musei, ma anche nelle case di moltissimi italiani. Un mercato vivo, efficiente e ben regolamentato è una risorsa per tutti i cittadini, oltre che per il patrimonio pubblico stesso. Auspico quindi che il nuovo Ministro Alberto Bonisoli prosegua su questa via. La mediazione politica tra interessi pubblici e privati operata da Franceschini è stata la prova che, malgrado qualche inevitabile malcontento da parte di alcuni funzionari del Ministero, si può lavorare a beneficio di tutti.

 

Lo scorso 2 giugno a Roma Bonisoli, prima di diventare Ministro, ha promesso più soldi ai beni culturali, tornando a parlare di identità culturale e della necessità di educare i giovani italiani alla conoscenza del patrimonio del loro paese. 'Non è possibile – ha detto – che i ragazzi italiani non sappiano dove vivono, oppure lo scoprano tardi'. Ma Bonisoli non ha mai fatto accenno al mercato dell'arte che, come abbiamo detto, è un'opportunità, sotto tutti i punti di vista, anche quello didattico. Dopo tutto il valore economico è conseguenza, non causa, di buona valorizzazione.

In questo senso credo che un dialogo con il nuovo Ministro sia assolutamente opportuno. È vero che questo governo si pone in termini di rottura con chi l'ha preceduto, ma non sarebbe corretto fare tabula rasa di quello che è successo prima se quel che è successo è meritorio. A questo punto bisognerebbe essere in grado di spiegare al nuovo Ministro com'è nata questa riforma e come si potrebbe andare avanti sulla via intrapresa per migliorare i tanti aspetti su cui c'è ancora da lavorare. Penso alla fiscalità, un tema che è emerso lo scorso autunno, in merito alla tassazione del capital gain sulle opere d'arte. Anche se qui in prima linea ci sono l'Agenzia delle Entrate e il Ministero delle Finanze.

 

Questa potrebbe essere la materia di discussione di Apollo 4?

Esatto, e ci auspichiamo che questo avvenga. Personalmente credo dovrebbe colpire chi compra e vende con finalità commerciali o speculative, ma non i tanti collezionisti che, invece, non si pongono questi fini, oppure chi per sua fortuna ha legittimamente ereditato una collezione e magari vent'anni dopo decide di cederne un'opera. Il modello migliore a cui ispirarsi sembra quello francese, in cui è previsto un periodo di possesso dell'opera prima del quale si ritiene possa esserci finalità speculativa, ma oltre il quale si riconosce che di questa finalità non è più giusto parlare.

 

Magari si potrebbe lavorare anche sulla soglia di libera esportabilità, che pare davvero troppo bassa per avere effetti positivi.

Sarebbe doveroso, anche perché credo che sia una soglia sbagliata in quanto non graduale e non differenziata. Intendo dire che per un libro antico potrebbe persino essere una soglia troppo alta, ma per un dipinto è decisamente troppo bassa. E lo stesso vale in termini di epoche.